“Impara l’arte e mettila da parte”. Il consiglio di mia nonna non era peregrino. Qualunque arte prima o poi rivela il suo valore. Il problema è che non si sa né come né quando. Papi e regnanti lo sapevano bene, oggi cominciano a capirlo anche le culture più utilitaristiche. “Il nostro futuro come paese innovativo dipende dal fare in modo che ciascuno abbia accesso all’arte e alle opportunità culturali. Quasi 6 milioni di persone si guadagnano da vivere nel settore delle arti non profit, e le arti e le attività culturali contribuiscono per più di 160 miliardi di dollari al nostro PIL. La pittura, la poesia, la musica e la moda, il design, sono tutte attività che definiscono chi siamo come società e ci forniscono una narrazione della nostra storia per la generazione che verrà”. A dirlo è Michelle Obama in un recente discorso. Per l’impresa è difficile prevedere attività artistiche, calcolarne costi e ricavi od inserirle nel sistema incentivante. L’arte è culto, ovvero cultura, e la si pratica per coltivare lo spirito. Da sempre funzionale allo sviluppo della convivenza: anche dell’impresa? Mi ha colpito leggere lo studio di Malinowski sul rituale Kula, un faticosissimo scambio di conchiglie e manufatti inutili, tra popolazioni di isole distanti centinaia di miglia. Tra le conclusioni dell’antropologo, la constatazione di quanto fosse “utile” per i Trobriandesi dedicarsi ad attività del tutto “inutili”. Stai a vedere che per sviluppare la nostra azienda dobbiamo imparare a fare cose inutili! Bella sfida non c’è che dire!
Questo breve articolo, comparso sulle smartnews di giugno 2010 (gli interessati possono scaricarle dal sito http://www.smartmanagement.it/public/articoli/newsletter.php ) si ispira al sospetto che in futuro, la “gestione risorse umane” del terziario più o meno avanzato, debba inventare qualcosa di utile per far passare il tempo ai propri addetti. In molti settori il tele-lavoro ridurrà a tal punto gli organici da far pensare ad una disoccupazione di massa. Pensate solo a nuovi servizi quali: le transazioni bancarie via internet, le riunioni in video conferenze (da casa su skype), l’acquisto di prodotti via internet, la posta elettronica, le tasse degli F24 via internet, le assicurazioni al telefono. Un imprenditore dell’informatica mi raccontava che grazie al “team viewer”, un diabolico programmino di tele assistenza scaricabile gratuitamente da internet (entrano nel vostro PC a 300 chilometri di distanza), ha ridotto di 2/3 il lavoro dell’ufficio assistenza. Che far fare ai bravissimi tecnici? Cosa faremo fare a milioni di addetti?
Trent’anni fa, quando vendevo occhiali a Roma, molti ottici mi facevano ripassare nel pomeriggio. Scoprii che erano impiegati ai ministeri. Polemicamente scrissi al giornale una lettera in cui, per risolvere il problema della disoccupazione, proponevo di “occupare gli occupati!”.
Oggi il problema si pone anche nel privato. Qualcuno obietterà che in certi settori siamo ancora lontani dalla qualità del servizio. Il paradosso è che per far funzionare meglio certi enti occorrerebbe essere in meno! Lean production!
Il presagio/provocazione dell’articolo nasce quindi dalla consapevolezza di quanto sia difficile inventare qualcosa che non faccia sentire stupide o inutili le persone e che soprattutto produca valore per l’impresa. I knowledge worker vogliono sentirsi partecipi, non si può fare scavar loro buche per poi riempirle. Il costo per il sistema economico è insostenibile e le persone sono frustrate e demotivate.
Forse l’uomo sta entrando in una nuova Era, per certi versi simile a quella dei cacciatori raccoglitori Trobriandesi. Il problema vitale si risolve in due tre ore al giorno. E le ore restanti? Bisogna inventare qualcosa di intelligente! Suggeriamo di “occupare gli occupati” con attività di ricerca, creatività, arte, benessere, cultura dello spirito. Per favore, basta scavare buche per riempirle!